Risoluzione n. 98416
Si fa riferimento alla mail con la quale codesto Comune chiede un parere in merito ad una particolare richiesta presentata da un soggetto, il quale chiede la possibilità di presentare una SCIA ai sensi dell’articolo 8, comma 6, lettera e) della L.R. n. 38 del 2006 per l’attività di somministrazione al domicilio del consumatore, genericamente definita come catering o banqueting.
Trattasi nello specifico di un soggetto che attualmente mette a disposizione alcuni locali e il giardino di una sua proprietà per organizzare feste private (soprattutto in occasione di cerimonie) senza preparazione dei cibi; tale servizio viene infatti fornito da ditte specializzate in catering contattate direttamente dal privato che affitta.
Il soggetto in questione, ora, vorrebbe poter fornire un servizio completo, preparando all’occorrenza anche cibi e bevande nella cucina presente nella proprietà ma non attraverso un ristorante classico aperto al pubblico, bensì fornendo tale servizio solo su specifica richiesta e prenotazione da parte di un committente e quindi solo per gli eventuali invitati.
Al riguardo l’interessato ha ipotizzato la possibilità di presentare una SCIA per attività di somministrazione al domicilio del consumatore, genericamente definita come catering o banqueting: lo stesso risulta in possesso del requisito professionale previsto dall’articolo 71 comma 6 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 e s.m.i. e l’immobile possiede la destinazione d’uso commerciale.
Ciò premesso, codesto comune evidenzia forti dubbi sulla possibilità che detta attività così come descritta possa essere svolta come catering anche con riferimento alla nota redatta dalla scrivente Direzione prot. 8562 del 17.1.2013 nella quale è stato precisato che “.. il catering consiste nel preparare i pasti in un luogo di produzione per poi trasportarli in un altro per il consumo da parte di una collettività. Prevede, quindi, un’attività di vendita o somministrazione del cibo in un luogo diverso da quello in cui viene prodotto ..”.
Parimenti, sembrerebbe non plausibile la possibilità di aprire un circolo privato con somministrazione ai soci, in quanto le disposizioni del D.P.R. n. 235 del 2001 appaiono in contrasto con l’attività che si intende svolgere in forma imprenditoriale.
Parrebbe, infine, non possibile ricondurre l’attività prospettata alla somministrazione effettuata congiuntamente ad un’attività principale di diversa tipologia (attività escluse dalla programmazione ai sensi dell’articolo 64, comma 7 del decreto legislativo n. 59 del 2010 e dall’articolo 8, comma 6 della L.R. n. 38 del 2006).
L’ipotesi possibile, a parere di codesto comune, sembrerebbe pertanto quella di ottenere, da parte del soggetto interessato, una licenza per la somministrazione di alimenti e bevande al pubblico (la L.R. n. 38 del 2006 all’articolo 9 prevede, infatti, l’autorizzazione per le nuove aperture), il quale dovrà poi precisare che l’attività non verrà svolta in forma continuativa ma solo su prenotazione, comunicando quindi le date e gli orari di apertura, anche nell’ottica della recente normativa che ha liberalizzato gli orari di apertura delle attività commerciali e di somministrazione, oltre a dover soggiacere a quanto previsto dal Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza.
Al riguardo si precisa quanto segue.
L’attività di somministrazione di alimenti e bevande è disciplinata dalla legge 25 agosto 1991, n. 287, così come modificata dal decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 e s.m.i.. Detta legge all’articolo 1, comma 1 dispone che “per somministrazione si intende la vendita per il consumo sul posto” che si esplicita in “… tutti i casi in cui gli acquirenti consumano i prodotti nei locali dell’esercizio o in una superficie aperta al pubblico, all’uopo attrezzati”.
Non sembra plausibile, pertanto, l’ipotesi avanzata dal soggetto interessato di poter avviare detta attività con una SCIA per attività di somministrazione al domicilio del consumatore, di cui all’articolo 64, comma 7, lettera a) del decreto legislativo n. 59 del 2010 e genericamente definita catering o banqueting sia perché la condizione dell’attività svolta al domicilio del consumatore in realtà non sussiste, sia perché l’attività di catering, come già ribadito nella citata nota del 17.1.2013, consiste sostanzialmente nella vendita o somministrazione di cibo in un luogo diverso da quello in cui esso viene prodotto, condizione che non si concretizza nel caso in discorso.
Non sembra, altresì, plausibile ricondurre tale attività a nessuna delle altre elencate all’articolo 64, comma 7 del citato decreto legislativo n. 59, peraltro escluse dalla programmazione di cui al comma 3 del medesimo articolo 64.
La scrivente, vista anche la volontà del soggetto interessato di non voler aprire un ristorante aperto al pubblico in modo continuativo e quindi di voler fornire il servizio solo su specifica richiesta e prenotazione da parte degli eventuali committenti per i loro esclusivi invitati, ritiene quanto segue.
L’attività, nel caso di specie, non può che essere classificata come un’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande vera e propria in quanto i prodotti vengono preparati in loco e serviti nei locali dell’esercizio o in una superficie aperta al pubblico all’uopo attrezzata.
Considerata, però, la liberalizzazione degli orari di apertura e chiusura delle attività al dettaglio, intervenuta con la modifica dell’articolo 3, comma 1, lettera d-bis, del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 ad opera dell’articolo 31, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge n. 214 del 22 dicembre 2011, la quale ha disposto che dal 1 gennaio 2012 gli esercizi commerciali di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 e di somministrazione di alimenti e bevande possano svolgere la propria attività senza alcun vincolo di orario e senza obblighi di chiusura o di apertura domenicale e festiva, ad avviso della scrivente, il soggetto in questione può aprire a seguito di specifica richiesta o prenotazione da parte di un committente, tenendo comunque conto che essendo un’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande nei periodi di apertura su specifica richiesta non può escludere dal servizio eventuali avventori che dovessero presentarsi, salva naturalmente l’indisponibilità di tavoli liberi.
Il soggetto in questione è tenuto, altresì, come precisato dalla scrivente nella nota del 26.11.2012, n. 242480, al rispetto degli obblighi di informazione al pubblico disposti dal comma 3 dell’articolo 8 della legge 25 agosto 1991, n. 287 e quindi a provvedere ad effettuare apposita comunicazione al Comune delle date e degli orari di apertura, rendendoli noti all’utenza mediante esposizione di apposito cartello.
La scrivente ritiene, inoltre, di dover fornire alcune precisazioni in merito al fatto che l’articolo 9 della L.R in questione subordina le nuove aperture all’istituto dell’autorizzazione senza distinzione tra zone soggette a programmazione e quindi tutelate e zone non tutelate.
Al riguardo si evidenzia che il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, così come integrato e modificato dal successivo decreto legislativo 6 agosto 2012, n. 147, all’articolo 64, comma 1 dispone che “L’apertura o il trasferimento di sede degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande al pubblico, comprese quelle alcooliche di qualsiasi gradazione, di cui alla legge 25 agosto 1991, n. 287, sono soggetti ad autorizzazione rilasciata dal comune competente per territorio solo nelle zone soggette a tutela ai sensi del comma 3. L ‘apertura e il trasferimento di sede, negli altri casi, e il trasferimento della gestione o della titolarità degli esercizi di cui al presente comma, in ogni caso, sono soggetti a segnalazione certificata di inizio di attività da presentare allo sportello unico per le attività produttive del comune competente per territorio, ai sensi dell’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni”.
Il comma 3, dell’articolo 64 del decreto legislativo n. 59 del 2010 prevede il ricorso a provvedimenti di programmazione che pongano divieti o limiti all’apertura di nuove strutture “(…) limitatamente ai casi in cui ragioni non altrimenti risolvibili di sostenibilità ambientale, sociale e di viabilità rendano impossibile consentire ulteriori flussi di pubblico nella zona senza incidere in modo gravemente negativo sui meccanismi di controllo in particolare per il consumo di alcolici, e senza ledere il diritto dei residenti alla vivibilità del territorio e alla normale mobilità”.
Ne consegue, pertanto, che solo qualora l’ente locale abbia individuato le zone del territorio da sottoporre a tutela l’avvio delle attività in tali zone, a prescindere dalla circostanza che si tratti di nuova attività o di attività trasferita, deve essere assoggettato ad autorizzazione espressa per consentire la verifica del rispetto di tutti i vincoli individuati dal provvedimento di programmazione. In tutti gli altri casi l’apertura e il trasferimento di sede, nonché il trasferimento della gestione o della titolarità degli esercizi in questione, sono soggetti a segnalazione certificata di inizio di attività ai sensi dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 e s.m.i..
- Fonte Mise – Ministero dello Sviluppo Economico
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