Le carni rosse fanno male alla salute?
In breve
- Le proteine animali sono costituite dalle stesse molecole chimiche di quelle vegetali, gli amminoacidi.
- La loro pericolosità per la salute, se consumate in eccesso, risiede principalmente nel modo con cui interagiscono con l’organismo. Per esempio, la lavorazione delle carni per la loro conservazione e le modalità di cottura modificano le molecole presenti, rendendole potenzialmente pericolose per la salute.
- I cibi di origine animale contengono, oltre alle proteine, anche molte altre sostanze tra cui i grassi saturie il ferro del gruppo eme. In dosi eccessive essi stimolano l’aumento di colesterolo, i livelli di insulina nel sangue e l’infiammazione del tratto intestinale, aumentando il rischio di certe patologie, tra cui i tumori, in particolare quelli del colon-retto.
- Un consumo modesto di carni rosse non aumenta in modo sostanziale il rischio di ammalarsi di cancro del colon-retto in individui a basso rischio di partenza, ma è comunque associato a un maggior rischio di sviluppare diabete e malattie cardiovascolari. Le persone a elevato rischio individuale (per familiarità o altre patologie) dovrebbero discutere del loro piano alimentare insieme a un medico, per valutare quanto è opportuno ridurre l’apporto di carne rossa e carni lavorate, considerando che nella carne vi sono alcuni nutrienti (come la vitamina B12 e il ferro) che potrebbero essere comunque preziosi per il loro benessere.
Quali patologie sono associate a un eccessivo consumo di carne?
Nessuna patologia è causata soltanto dal consumo di carne rossa. Tuttavia gli epidemiologi concordano sul fatto che gli individui che seguono diete ricche di proteine animali, soprattutto carni rosse e lavorate, hanno un maggior rischio di sviluppare patologie come diabete, infarto e problemi cardiovascolari, obesità e cancro. Tra i tumori, il rischio aumenta soprattutto per quelli dell’apparato gastro-intestinale, come il cancro al colon-retto e allo stomaco, ma anche per alcuni tumori “ormone-dipendenti” come quello al seno, alla prostata e all’endometrio. Nel mese di ottobre 2015 l’International Agency for Research on Cancer (IARC) di Lione, un’agenzia dell’Organizzazione mondiale della sanità che valuta e classifica le prove di cancerogenicità delle sostanze, ha definito la carne rossa come probabilmente cancerogena (classe 2A della classificazione dello IARC) e la carne rossa lavorata (insaccati e salumi) come sicuramente cancerogena (classe 1 della classificazione dello IARC).
Che cosa contiene la carne rossa?.
Dal punto di vista biochimico, tutte le proteine che costituiscono gli organismi viventi sono costruite nello stesso modo dall’assemblaggio di 20 “mattoncini “, gli amminoacidi, uguali in tutte le specie, sia animali sia vegetali.
Il “problema” delle proteine animali risiede nel modo con cui interagiscono col nostro organismo. La maggior parte di esse provengono dalla carne, e in particolare dalle carni rosse: manzo, maiale, agnello e capretto. Il colore rosso è dato dalla presenza nei tessuti di due proteine, strettamente imparentate fra loro: l’emoglobina e la mioglobina. Entrambe contengono una molecola, detta gruppo eme, con al centro un atomo di ferro. Il gruppo eme è la “trappola molecolare” per catturare le molecole di ossigeno, essenziali per la produzione di energia. Per questo ne vengono immagazzinate grandi quantità nei muscoli, e per questo la carne rossa è rossa. Diversi studi indicano però che il gruppo eme stimola, a livello dell’intestino, la produzione di alcune sostanze cancerogene e induce infiammazione delle pareti intestinali. Un’infiammazione prolungata nel tempo dovuta a massiccia ingestione di carne rossa aumenta le probabilità di sviluppare tumori al colon-retto, che nei Paesi industrializzati, dove il consumo di carni rosse è molto diffuso, è il terzo tumore più frequente e la terza causa di morte per malattie oncologiche. Non solo: le carni rosse possono essere lavorate mediante essicazione, salatura o affumicatura, e conservate con additivi come nitrati, nitriti e idrocarburi policiclici aromatici. Negli studi epidemiologici in generale si distingue il consumo di carne fresca da quello di salumi e insaccati, proprio per via della diversa composizione.
Cosa dice davvero la classificazione dello IARC?
Vi è molta confusione riguardo al vero significato della decisione dello IARC di includere le carni rosse e le carni rosse lavorate rispettivamente nella classe 2A e nella classe 1 delle sostanze cancerogene.
La decisione è stata presa dopo un’attenta revisione degli studi disponibili in merito, ma non significa che i salumi siano più pericolosi della carne rossa fresca. La classificazione di cancerogenicità non è una classificazione di rischio ma una misura della sicurezza con cui gli esperti si esprimono sulla cancerogenicità di un prodotto. In pratica ci dice solo che gli studi su salumi e insaccati hanno una qualità e un’ampiezza tale da farci dire con sicurezza che i salumi possono aumentare il rischio di ammalarsi, mentre che gli studi sulle carni rossi sono statisticamente meno forti e quindi ci permettono solo di dire che probabilmente l’associazione esiste. Per quel che riguarda le carni bianche(pollame e coniglio), gli esperti affermano solo che non esistono studi sufficientemente attendibili e che quindi non possono pronunciarsi né in un senso né nell’altro, anche se la conoscenza dei meccanismi molecolari che rendono la carne rossa potenzialmente cancerogena (la presenza del ferro EME) permette di dire che le carni bianche (che non contengono questo composto) sono probabilmente più sicure. Su altri meccanismi studiati dallo IARC, come la modificazione della microflora intestinale (cioè dei batteri che ci proteggono dalle sostanze mutagene) non si può, invece, al momento, fare una vera distinzione tra un tipo di proteina animale e l’altro, perché nessuno ha fatto studi ad hoc.
La classificazione dello IARC, inoltre, non ci dice niente sulla potenza di una sostanza nel provocare tumori. Molti giornali hanno titolato, per esempio, che la carne rossa lavorata è “cancerogena come il fumo”. Si tratta di una interpretazione sbagliata: è inserita nella stessa categoria del fumo perché per ambedue abbiamo prove scientifiche sufficienti per esprimerci con certezza. Ma il fumo è un carcinogeno molto più potente degli insaccati, per cui ragionevolmente una fetta di salame di tanto in tanto avrà minore influenza sulla nostra salute di un paio di sigarette.
Di quanto aumenta il rischio individuale di ammalarsi di cancro del colon se si consuma carne rossa?
La verità è che nessuno ha una risposta precisa a questa domanda. Gli studi epidemiologici valutano l’aumento del rischio sui grandi numeri, non a livello del singolo individuo. Gli esperti hanno infatti stabilito che il 18-21% dei tumori al colon è probabilmente legato al consumo di carni rosse e insaccati, e così il 3% di tutti i tumori. Il fumo di sigaretta, tanto per dare un parametro di confronto, è responsabile dell’86% dei tumori al polmone e del 19% di tutti i tumori, secondo i dati di Cancer Research UK. L’agenzia britannica ha anche stimato che se tutti gli abitanti della Gran Bretagna smettessero di fumare, ci sarebbero 64.500 casi in meno di cancro l’anno, mentre se tutti diventassero vegetariani ci sarebbero 8.800 casi in meno l’anno.
Un’analisi condotta nel 2011 dal World Cancer Research Fund ha stimato che un consumo elevato di carni rosse lavorate aumenta del 17% il rischio individuale di ammalarsi di cancro del colon. Si tratta però del cosiddetto rischio relativo, che va cioè rapportato al rischio reale (rischio assoluto) del singolo individuo. Facciamo un esempio: se una persona non ha familiarità per il cancro del colon e per il cancro in generale, ha abitudini di vita salutari (non fuma, fa esercizio fisico) ma è consumatrice frequente di salumi, accrescerà il suo rischio di ammalarsi del 17%, ma il suo rischio resterà comunque molto basso per tutte le ragioni esposte. Il 17% di un numero piccolo è un numero ancora più piccolo, e quindi in termini assoluti quella persona non avrà modificato di molto il proprio rischio di ammalarsi di cancro al colon.
Viceversa una persona che ha una malattia infiammatoria dell’intestino o una elevata familiarità per cancro del colon (due condizioni che accrescono di molto il rischio individuale), mangiando insaccati senza limiti accrescerà il proprio rischio del 17%, ma in termini assoluti quella percentuale è più grande di quella della persona che non è, di partenza, ad alto rischio.
Le indicazioni dello IARC vanno quindi considerate in chiave di salute pubblica (cioè su tutta la popolazione) più che dal punto di vista del singolo. Per tradurle in indicazioni individuali, è bene valutare insieme a un medico il proprio rischio di ammalarsi che dipende anche da altri fattori, come appunto la familiarità e l’insieme degli stili di vita. Può darsi che per qualcuno sia opportuno ridurre o eliminare del tutto la carne rossa mentre per la maggior parte delle persone basta consumarne con moderazione.
Non dimentichiamo ciò che gli epidemiologi dello IARC hanno detto chiaramente nel presentare i risultati della loro analisi: mai, nella storia dell’umanità, si è consumata così tanta carne e in modo così diffuso. Ciò significa che ci sono margini per una ragionevole riduzione, senza arrivare necessariamente a scelte drastiche.
Quali sono i componenti cancerogeni della carne rossa?
Nel 2013 sono stati pubblicati i risultati di uno studio di ampio respiro: il Progetto EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition), promosso dall’Unione europea, dallo IARC e cofinanziato anche da AIRC. Condotto su oltre mezzo milione di partecipanti provenienti da tutta Europa, lo studio ha confermato un’associazione positiva tra consumo di carni lavorate e morti premature per malattie cardiovascolari e per cancro, soprattutto al colon-retto e al seno. Lo studio EPIC ha però anche dimostrato, di contro, che un consumo di piccole quantità di carne rossa ha effetti benefici per la salute, fornendo importanti vitamine e nutrienti specifici. L’effetto mutageno della carne rossa fresca è attribuito alla presenza del ferro EME (un potente ossidante) e alla capacità della carne in demolizione nell’intestino di produrre sostanze che modificano la composizione delle colonie di batteri che vivono nel nostro intestino. Nell’insieme questi effetti sembrano avere un ruolo essenziale nella genesi del cancro del colon. Diversi studi hanno mostrato come i processi di lavorazione e conservazioni aumentano la capacità delle carni di danneggiare la salute umana. Una grande meta analisi pubblicata nel 2010 dall’Harvard School for Public Health ha rilevato un aumento di rischio di infarto e diabete in chi consuma carne rossa lavorata, come bacon e salsicce, ma non in chi consumava carne rossa fresca (mentre per quel che riguarda il cancro, il rischio esiste anche per i forti consumatori di carne fresca). I meccanismi molecolari non sono ancora del tutto chiari ma è probabile che la differente quantità di sale e conservanti contribuisca a modulare il rischio tra carne rossa lavorata e non lavorata. Anche il già citato studio EPIC ha fornito prove in questa direzione: il rischio di morire prematuramente di cancro o malattie cardiovascolari aumenta all’aumentare della quantità di carne lavorata consumata. Secondo EPIC, le morti premature potrebbero essere ridotte del 3% ogni anno se le persone consumassero non più di 20 grammi di carne lavorata al giorno. È bene chiarire che gli studi epidemiologici non fanno distinzioni sulla base della qualità del prodotto (carne di alta qualità o bassa, salumi artigianali o industriali). Per quel che riguarda le carni rosse non lavorate una tale distinzione non avrebbe nemmeno senso, perché i composti chimici che risultano mutageni (il ferro EME e alcune proteine frutto della decomposizione nell’intestino) non dipendono dalla qualità della carne.
Quanto conta la cottura della carne?
La cottura della carne alla griglia o in padella ha molti vantaggi; le alte temperature “sterilizzano” la carne diminuendo il pericolo di contaminazioni da microorganismi e causano cambiamenti nella struttura chimica delle proteine aumentandone la digeribilità e il potenziale nutritivo. Tuttavia nel processo si formano anche sostanze, come le ammine eterocicliche, potenzialmente tossiche e cancerogene. Queste abbondano per esempio all’interno della classica “crosta bruciacchiata” della carne. Nel 2011 uno studio pubblicato sul British Journal of Cancer e condotto su 17.000 partecipanti ha rilevato una frequenza maggiore di cancro al colon rispettivamente del 56% e del 59% in chi consumava la carne più grigliata o più cotta. È sempre meglio evitare una cottura eccessiva, rimuovere le parti nere e prediligere altre forme di cottura più sane come quella al vapore.
Ha senso diventare vegetariani?
Moltissimi studi negli ultimi anni hanno messo in luce i benefici generali sulla salute di diete vegetariane, a patto che siano rigorosamente controllate per garantire un completo apporto nutrizionale, rispetto a stili di alimentazione ricchi di carne e cibi di origine animale.
Tuttavia non sono ancora presenti studi che indichino una relazione convincente tra rischio di malattie malattie in assoluto (quindi non solo cancro) e un modesto consumo di proteine animali. Quando si parla di modificazioni drastiche dello stile di vita è bene prendere in considerazioni gli effetti sulla persona nella sua globalità (e quindi su tutte le possibili malattie di cui si può fare prevenzione) e non solo del cancro.
Quali sono le dosi massime consigliate per un consumo salutare?
Il World Cancer Research Fund raccomanda non più di 300 grammi a settimana, mentre suggerisce di consumare almeno cinque porzioni di frutta e verdura per un totale di almeno 400 grammi al giorno. L’Harvard School of Medicine restringe il limite di consumo di carni rosse a porzioni non superiori a 80 grammi, al massimo due volte a settimana. Lo IARC ha concluso che il consumo al di sotto dei 500 grammi alla settimana non costituisce un pericolo per la salute.
In conclusione
La carne rossa – e in particolare la carne rossa lavorata – è un cancerogeno umano, cioè è in grado di indurre mutazioni a livello del DNA delle cellule. Una gran mole di studi condotti nel tempo ha dimostrato che un consumo abbondante di carne rossa, soprattutto se lavorata e cotta ad alte temperature, aumenta il rischio di sviluppare molte malattie, prima fra tutte il cancro al colon-retto. È bene quindi limitare il consumo di proteine animali e sostituire la carne rossa, ogniqualvolta possibile, con pollo o pesce, o meglio ancora con proteine vegetali come i legumi e la soia. Infine, vanno fortemente limitate, se non evitate, le carni lavorate come i salumi e quelle molto cotte e abbrustolite.
In generale tre quarti di ciò che mangiamo complessivamente dovrebbe essere costituito da cibi vegetali.
Un consumo eccessivo di carni rosse, soprattutto di carni rosse lavorate (salumi, insaccati e carne in scatola), aumenta il rischio di sviluppare alcuni tumori. L’aumento del rischio è però proporzionale alla quantità e frequenza dei consumi, per cui gli esperti ritengono che un consumo modesto di carne rossa (una o due volte a settimana al massimo) sia accettabile anche per l’apporto di nutrienti preziosi (soprattutto vitamina B12 e ferro), mentre le carni rosse lavorate andrebbero consumate solo saltuariamente.
FONTE: AIRC Associazione Italiana per la ricerca sul cancro
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