Sentenza n. 3267/2014
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 2794 del 2013, proposto da:
Lillo S.p.A., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avv. Giovanni Sellitto, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, n. 2;
contro Comune di Giugliano in Campania, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Russo, con domicilio eletto presso Luigi Napolitano in Roma, via Sicilia, n. 50;
per la riforma della sentenza del T.A.R. CAMPANIA, NAPOLI, Sez. III n. 01364/2013, resa tra le parti, concernente chiusura esercizio commerciale;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Giugliano in Campania;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 maggio 2014 il Cons. Raffaele Prosperi e uditi per le parti gli avvocati Giuseppe Russo e F. M. Fucci su delega dell’avv. Giovanni Sellitto;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La Lillo S.p.A., attiva su tutto il territorio nazionale nel campo della distribuzione alimentare e non, e titolare del marchio MD Discount, ha aperto nel Comune di Giugliano in Campania, in zona Varcaturo sulla via Domiziana al Km. 45,70, un esercizio di vicinato per una superficie di vendita pari a mq. 250, giusta comunicazione al Comune il 3 giugno 2008.
A distanza di quattro giorni, la polizia municipale irrogava alla Lillo sanzione pecuniaria, in quanto i locali destinati alla vendita erano eccedenti i massimi previsti dall’art. 8 D. Lgs. 114/1998 e precisamente risultavano quantificati mq. 337 ed il successivo 23 luglio il Comune inviava l’avvio del procedimento inibitorio dell’attività, conclusosi con ordinanza di chiusura in data 9 ottobre 2008.
Tale ordinanza veniva impugnata davanti al TAR della Campania il quale la sospendeva cautelarmente, inibendo comunque alla Lillo l’utilizzo a scopo di vendita o pubblicitario l’area antistante le casse; successivamente con sentenza n. 1364 dell’8 marzo 2013 il predetto tribunale respingeva il ricorso, riscontrando l’eccedenza dell’area oltre i mq. 250, dovendosi computare nella superficie di vendita gli “scivoli” posti dopo le casse, ove il cliente raccoglie la merce acquistata dopo il pagamento; poiché a parere della ricorrente la superficie fino alle casse constava di mq. 249,50, anche l’area degli “scivoli” era da computare, portando la superficie complessiva fatalmente oltre i predetti mq. 250; in tal caso l’attività concretizzava un abuso sanzionabile con la chiusura immediata.
Con rituale atto di appello la Lillo S.p.A. ha chiesto la riforma della predetta sentenza.
Secondo l’appellante, la perizia giurata, da essa prodotta, non messa in discussione nel corso del giudizio di primo grado, ha determinato in mq. 249,50 la superficie netta di vendita, ossia con l’esclusione dell’ingresso, dello spazio retrocassa e del box ufficio, il che dimostrerebbe immediatamente l’erroneità della pronuncia impugnata, non potendo condividersi l’assunto del TAR, secondo cui sarebbero da aggiungere i sopraddetti “scivoli”, inclusi fisicamente e funzionalmente nell’area adibita a pagamento, facente parte a pieno titolo dell’area di vendita.
In realtà l’area in questione attiene al passaggio della clientela, senza correlazione con la vendita propriamente detta, è priva di scaffali con merce o di esposizioni pubblicitarie, è sostanzialmente una zona di passaggio successivo che nulla ha a che vedere con la vendita, operazione che si chiude con il pagamento davanti alla cassa ove si batte il prezzo; del resto vari regolamenti comunali escludono espressamente la zona d’avancassa, ossia l’area tra casse di pagamento ed uscita, dalla superficie commerciale, del resto sgombra anche di carrelli ed altro materiale utile agli acquisti.
Se poi si aggiunge, sempre secondo l’appellante, che le misurazioni del tecnico comunale sono state esperite con una semplice rotella metrica e non con l’attuale strumentazione laser, tutto l’intero iter amministrativo, culminato nel provvedimento impugnati, era palesemente arbitrario ed impreciso.
D’altra parte, sempre secondo l’appellante, l’ordinanza di chiusura dovrebbe essere considerata un mezzo estremo e residuale, connesso dalla legge a lunghe ingiustificate chiusure dell’esercizio o alla sopravvenuta mancanza dei requisiti in capo al titolare oppure ancora, a ragioni igienico-sanitarie, presupposti del tutto carenti nel caso di specie, così che alla Lillo S.p.A. ben poteva essere ordinato semplicemente di rientrare nei limiti di legge, soprattutto vista la presenza di tutti gli altri requisiti al momento del rilascio delle autorizzazioni necessarie.
L’appellante ha quindi concluso per l’accoglimento del ricorso con vittoria di spese.
Il Comune di Giugliano in Campania si è costituito in giudizio, sostenendo le ragioni della sentenza impugnata e chiedendo il rigetto dell’appello.
All’odierna udienza pubblica la causa è passata in decisione.
Il Collegio ritiene che le conclusioni del giudice di primo grado non siano meritevoli di censura.
Il dato fornito di mq. 249,50 di superficie di vendita è un dato ormai pacifico ed incontrovertibile, il quale non comprende quegli spazi che il D. Lgs. 114/1998 esclude dal computo della superficie di vendita, ma include i cosiddetti scivoli – il punto nodale della controversia – ossia le corsie in cui vengono deposte le buste della spesa una volta che l’addetto alla cassa ha registrato il prezzo delle merci acquistate.
La Sezione ritiene che detto spazio non possa essere escluso dalla superficie di vendita la quale, ai sensi dell’art. 4 comma 1 lett. c) D.Lgs 31.3.1998 n. 114, ricomprende l’area propriamente destinata alla vendita, vale a dire quella occupata da banchi, scaffalature e simili, con la sola esclusione della parte destinata a magazzini, depositi, locali di lavorazione, uffici e servizi.
Le casse di un esercizio di vendita di qualunque tipo non possono essere considerate un “servizio”, poiché presso di esse si perfeziona la compravendita dei beni esposti, compravendita che frequentemente implica il confezionamento, la somma del denaro speso e la consegna finale al cliente di tutta la merce acquistata: perciò le casse ed i loro necessari annessi, soprattutto per quel genere di esercizi di vendita di prodotti alimentari da raccogliere nel loro insieme, devono forzatamente essere considerate aree destinate alla vendita.
Ciò comporta senza possibilità di smentita l’infondatezza delle tesi sostenute dall’appellante, né possono soccorrere le doglianze inerenti i metodi di misurazione, effettuati a dire della Lillo s.p.a. con la rotella metrica in luogo degli apparati laser ormai usuali.
Se la rotella metrica può effettivamente costituire un apparato desueto rispetto alle tecniche di misurazione correnti, non vuol dire che i risultati che ne derivano siano errati; né la Lillo fornisce indizi o tracce di prova dai quali emergano conclusioni scorrette.
Per quanto concerne poi l’ordine di chiusura, provvedimento che a parere dell’appellante sarebbe sproporzionato rispetto all’eccedenza registrata per un esercizio di vicinato, si deve rilevare che comunque la superficie di vendita è comunque superiore a quella ammessa dalla legge per definire l’esercizio di vicinato: quest’ultimo può essere aperto mediante comunicazione agli uffici comunali, mentre l’apertura di una media struttura di vendita regolata dal successivo art. 8 D. Lgs. 114/1998, che costituisce la tipologia esercizio immediatamente “superiore”, può avvenire solamente a fronte di provvedimento di autorizzazione comunale.
Da ciò deriva che l’esercizio aperto dall’appellante era privo di titolo e conseguentemente l’ordine di chiusura è del tutto corretto.
Nulla esclude peraltro che l’interessato possa operare una diminuzione degli spazi complessivi di vendita al fine di rientrare nella tipologia dell’esercizio di vicinato e successivamente avviare lo stesso procedimento a suo tempo iniziato, per una nuova apertura dell’esercizio, sussistendo ovviamente tutti gli altri necessari presupposti.
Per le sue esposte considerazioni l’appello deve perciò essere respinto.
La specificità del caso giustifica la compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 maggio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli, Presidente FF
Fulvio Rocco, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Raffaele Prosperi, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/06/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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